E tu canterai?
Canta! Come la lode trasforma la tua vita, la tua famiglia e la chiesa è un piccolo libro scritto dal noto duo musicale Keith e Kristyn Getty (edizione originale del 2017, versione italiana edita da Coram Deo, nel 2021). Decisamente semplice e scorrevole nei contenuti, il piccolo volume si propone di offrire alcune piste riflessive e applicative per ripensare il ruolo del canto nella vita del credente a livello personale, famigliare ed ecclesiale.
L’argomentazione che accompagna in filigrana tutto il libro è che il canto rappresenta un aspetto imprescindibile per una vita cristiana sana, ricca, equipaggiata e grata. La tesi viene sostenuta essenzialmente lungo tre capitoli che seguono un ordine storico-redentivo (creazione - caduta - redenzione), da altri quattro di carattere più applicativo. L’intero libro è attraversato dal senso per cui i credenti fanno parte di un unico popolo: il popolo di Dio.
La riflessione dei due autori parte dall’essersi tristemente accorti, nelle loro innumerevoli esperienze di conduttori della lode in contesti vari e diversi, che quando si tratta di valutare come il canto sia andato, difficilmente si tiene conto della partecipazione della chiesa al canto stesso. Con le loro parole: “Il canto della chiesa non sembrava essere un fattore chiave, né tantomeno il primario, nel determinare quanto fosse andata bene la musica nel culto domenicale. Quasi nessuno ci chiedeva di parlarne” (p. 23). L’osservazione sembra, poi, confermata dalla constatazione che “ci sono tanti libri che ci aiutano a crescere e a formarci nello studio della parola, nella preghiera, nel servizio e nell’evangelizzazione, ma non molti che ci aiutino a cantare” (p. 23).
Preso atto di questa poca attenzione rivolta al ruolo del canto comunitario, il libro offre un itinerario distinguendo, essenzialmente, tra spiegazione (primi tre capitoli) e applicazione (ultimi quattro). Ogni capitolo si conclude con delle domande e, al termine, vengono offerte alcune tracce per pastori, conduttori della musica, musicisti e compositori/creativi.
1. Creati per cantare
Anzitutto, per gli autori il popolo di Dio è creato per cantare (p. 27). Questo obiettivo non è inteso come l’unico, ma come intrinseco e principale. Esso si evince sia dalla struttura anatomica dell’uomo, sia dalla sua struttura psichica (p. 28).
Con questo primo capitolo, gli autori desiderano incoraggiare tutti i credenti a cantare, quantunque taluni possano sentirsi “inadatti” a tale scopo, perché ad essere cantate sono “le verità bibliche” (p. 29), le stesse che rendono i credenti un unico popolo: “Quando cantiamo insieme facciamo breccia nel grigiore relativistico della nostra cultura attraverso melodie e parole piene di verità strepitose” (p. 32). Altresì, l’invito a cantare si fonda sul fatto che l’intero creato vi partecipa (Sl 98,4-9) quale adorazione del Creatore: “Non dobbiamo adorare l’arte del canto, dobbiamo adorare Lui” (p. 33).
Si tratta, a ben vedere, di una duplice sottolineatura volta, da un lato, ad evidenziare il ruolo comunitario del canto, rivolto a tutti e non solo a dei professionisti, dall’altro, a tutelare la chiesa dal considerare la musica o il canto come gli oggetti della celebrazione, ossia degli idoli.
2. Cantare, un comandamento
Sottomettendosi al fondamentale testo di Colossesi 3,16, gli autori cercano di declinare questo comandamento tenendo conto di tre aspetti.
Anzitutto, il luogo del canto: l’assemblea tutta riunita insieme. Il canto, in tale contesto, viene inteso come un servizio amorevole reciprocamente offerto (p. 37).
Dopodiché, viene trattato l’oggetto del canto. Esso viene ravvisato nella Scrittura. Con ciò gli autori non intendono che possono essere messi in musica solo ed esclusivamente testi della Scrittura, piuttosto il centro della questione sembra essere l’autorità della Scrittura (p. 37). Si tratta, a ben vedere, di un’esortazione a tenere unite teologia e musica. Emblematicamente, leggendo il capitolo, viene da chiedersi se si canta ciò che si crede o se si crede ciò che si canta.
Da ultimo, trattando del modo del canto viene fatto un esplicito riferimento al tema della gratitudine. Non è il canto che rende grati, ma è la gratitudine che consente un canto “deciso e appassionato” (p. 38).
3. Costretti a cantare
Al centro di questo capitolo è posta la non indifferente sottolineatura per cui si loda quel che si ama (2 Corinzi 5,14-15), da cui gli autori traggono, passando per i diversi esempi di canti che la Scrittura riporta e per alcune esperienze di vita personali o di amici, la conclusione per cui “il canto dà voce a un cuore che conosce profondamente il Vangelo della grazia ed è la sovrabbondanza di un cuore conquistato dal Vangelo” (p. 48). Si tratta, a ben vedere, di una visione confessante del canto: “siccome ho creduto, ho parlato” (ho cantato) (2 Corinzi 4,13).
4. Applicazioni
I restanti capitoli (4-7) rappresentano un tentativo di applicare le verità illustrate nei capitoli precedenti.
Anzitutto, si viene esortati a cantare con il cuore e con la mente, godendo di tutti i benefici del canto (porta le verità dalla domenica al lunedì, sostiene in ogni stagione della vita, alimenta il ricordo delle benedizioni di Dio, indirizza verso l’eternità).
L’invito che gli autori rivolgono appare calato nella realtà, in quanto affronta la sfida della distrazione dei pensieri durante il canto comunitario, quando le parole del testo vengono dette senza una reale intenzione, perché i pensieri della settimana appena trascorsa o prossima a cominciare prendono il sopravvento. Il canto, dunque, non viene presentato come un aspetto neutrale della vita di chiesa, ma come un aspetto – al pari degli altri – che desta un combattimento spirituale.
In secondo luogo, si viene esortati a cantare con la famiglia, sottolineando il ruolo formativo del canto per i bambini (o adolescenti), così come il suo importante ruolo per una spiritualità biblica.
Un terzo invito è quello di cantare con la chiesa locale. In particolare, gli autori sottolineano con forza che “ascoltarci l’un l’altro sussurrare mentre la band si esibisce brillantemente sul palco in chiesa non è la stessa cosa che cantare insieme come comunità” (p. 78). Anzi, la chiesa viene responsabilizzata a pensare al canto in termini di eredità da lasciare alle future generazioni di credenti, sia nei contenuti, sia nel ruolo dato al canto (p. 83).
Infine, il canto viene indicato quale importante mezzo per la testimonianza della chiesa tutta: c’è coerenza tra quanto cantato e vissuto dai credenti? Se si professano determinate verità e poi le si cantano con apatia e svogliatezza, cosa viene comunicato a chi è presente per la prima volta ad un culto? E cosa percepiscono i figli dei credenti circa le cose che vengono cantate, se vedono i loro genitori cantare a malapena o non cantare affatto?
Al termine di queste riflessioni, condite a più riprese da proposte applicative molto pratiche, gli autori pongono una domanda personale: “E tu canterai?”, invitando il lettore a non guardarsi troppo attorno quando si tratta di vivere la responsabilità del canto.